2012-12 - Dio si fa uomo

11.11.2013 20:20

Dio si fa uomo per farci come lui

Lettore: Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione. (DV 1,2)

Insieme: Vieni, Spirito Santo, dentro di me, nel mio cuore e nella mia volontà. Accordami la Tua intelligenza, perché la parola del Vangelo illumini la mia coscienza e riscaldi il mio cuore. Donami il Tuo amore, perché oggi, esortato dalla Tua parola, ti cerchi nei fatti e nelle persone che ho incontrato. Donami la Tua sapienza, perché io sappia rivivere e motivare, alla luce della Parola, quello che oggi ho vissuto. Donami la perseveranza, perché io con pazienza penetri il messaggio di Dio nel Vangelo e lo metta in pratica. Amen

Dal Vangelo secondo Giovanni (1,1-18) In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.

Egli era, in principio, presso Dio ' [….] tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta.' [….] Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.

Lettore: “Credo in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine”. Il secondo articolo del Simbolo apostolico ci porta, dopo aver contemplato il Padre a pensare al

Figlio, all’essere figli. Scegliendo di “farsi uomo” Dio afferma che ciò che è umano ha un valore; Dio sceglie di entrare in una storia di famiglia, con una propria genealogia, con degli antenati, un padre e una madre.

Questa è anche la storia di ciascuna nostra famiglia, da accogliere e da custodire come “patrimonio” di partenza, letteralmente “dono di un padre” (pater munus) che ci permette di riconoscerci in una “patria” e di avere un'appartenenza. Ma con il suo incarnarsi, Dio fa anche grazia: scende sulla terra per permetterci di salire in cielo.

Facendosi uno come noi, Gesù ci rende partecipi della vita eterna, ci toglie dalla limitatezza della nostra carne e ci fa sperare l'eternità. Nella nostra famiglia dobbiamo riuscire a trasmettere questa grazia che ci rende partecipi della storia divina dell'amore. 

Lettore: Il Verbo si è fatto carne perché noi così conoscessimo l'amore di Dio: “In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per lui (1Gv 4,9). “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Il Verbo si è fatto carne per essere nostro modello di santità: “Prendete il mio giogo su di voi e imparate da me” (Mt 11,29). “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6). E il Padre, sul monte della Trasfigurazione, comanda: “Ascoltatelo” (Mc 9,7) [Dt 6,4-5 ]. In realtà, egli è il modello delle Beatitudini e la norma della Legge nuova: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv 15,12). Questo amore implica l'effettiva offerta di se stessi alla sua sequela [Mc 8,34 ]. Il Verbo si è fatto carne perché diventassimo “partecipi della natura divina” (2Pt 1,4): “Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell'uomo: perché l'uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio” [Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 19, 1]. “Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio” [Sant'Atanasio di Alessandria, De Incarnatione, 54, 3: PG 25, 192B].“ L'Unigenito Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei” [San Tommaso d'Aquino, Opusculum 57 in festo Corporis Christi, 1]. (CCC 458-460)

Lettore: Di questo brano sottolineiamo il fatto che l’evangelista afferma oltre al mistero dell’incarnazione che chi accoglie Gesù, il Figlio incarnato, ha il “potere” di diventare figlio di Dio. E nella sua prima lettera Giovanni lo ribadirà “siamo figli di Dio e lo siamo realmente” Quando mettiamo a confronto la modalità di essere padre di noi uomini e quella di Dio ci accorgiamo di una grande differenza che disorienta. Ci troviamo infatti al cospetto di un Padre che fa incarnare il proprio Figlio nella povera e fragile realtà umana ed è disposto a sacrificarlo. Per noi non è ragionevole e neppure razionale, ma per nostra fortuna l'amore di Dio Padre non conosce le nostre “misure”.

L'incarnazione, poi, manifesta il fatto che Dio non dona qualcosa, ma dona se stesso; esce da sé per inserirsi in una situazione storica e per condividere la sua quotidianità con gli uomini, e, tra gli uomini, i più semplici e i più umili. Gesù Cristo, che assume gli usi, i costumi, la cultura delle persone di un'epoca e di un luogo ben delimitato rivela la sua capacità di essere solidale con la condizione umana, senza privilegi.

L'incarnazione è luogo dell'incontro tra Dio e l'uomo. In questo mistero trova senso ogni esistenza, perché Dio valorizza ogni aspetto della vita, anche familiare: la festa, il lavoro, il lutto, la gioia, il dolore, le azioni semplici, le cose di tutti i giorni. Con l'incarnazione il figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato.

Lettore: Nel mistero di Cristo ha senso pieno anche il tempo trascorso nella sua famiglia, tempo “consacrato” dalla sua presenza. Dio nel suo incarnarsi fa grazia ed è la medesima grazia che illumina ed entra nelle nostre storie familiari. Egli ha vissuto in pienezza il suo essere figlio di Maria e Giuseppe, dimostrando però che si è prima di tutto figli di Dio Padre: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2, 49).

Cristo ha vissuto la sua figliolanza come risposta alla chiamata del Padre. Significativo al riguardo l’episodio delle tentazioni. Queste iniziano con l’espressione “se sei figlio…”. Il tentatore provoca Gesù il figlio a non vivere secondo la volontà del Padre; Ma Gesù lo respinge rimanendo così fedele al Padre, in comunione con la sua volontà. Da ciò deriva dunque per tutti noi, figli di Dio Padre, l'impegno a vivere la nostra figliolanza come un tendere alla vita di comunione con il Padre. Divenuti nel battesimo figli di Dio per l’effusione dello Spirito Santo che ci fa gridare come Gesù: Abbà, Padre e consacrati con il sacramento del matrimonio gli sposi sono abilitati a scrivere pagine di Vangelo, pagine di amore, attraverso la quotidianità della vita familiare, ad essere incarnazione dell’amore del Figlio verso il Padre, ma anche dell’amore del Padre verso il Figlio.

Lettore: La trasmissione della fede trova qui il suo terreno di coltura e i gesti cristiani (si pensi al battesimo, alla domenica, alle feste cristiane, in particolare il Natale, alla preghiera domestica) devono poter far percepire la bellezza dell’essere figli nel Figlio, e per i coniugi a maggior ragione di essere segno dell’amore del Figlio.

Un ulteriore riflessione. Nel mistero dell'incarnazione, Gesù “prende corpo”. Giovanni Paolo II, partendo dal concetto che l'uomo è l'unica creatura voluta da Dio per se stessa, considera l'uomo come la più alta espressione del dono divino. In questa prospettiva non deve meravigliare se è proprio il corpo a far emergere, attraverso la sue differenze sessuali, la dimensione di dono che gli è propria, caratteristica fondamentale dell'esistenza personale, che rivela il significato sacramentale dell'Amore di Dio. Il sacramento, come segno visibile, si costituisce con l'uomo in quanto “corpo”, mediante la sua “visibile” mascolinità e femminilità. Di qui si comprende quali siano gli ideali ai quali la coppia deve ispirarsi e il richiamo di Giovanni Paolo II al significato sponsale del corpo, ossia alla sua capacità di esprimere l'amore: “Quell'amore appunto nel quale l'uomo-persona diventa dono e - mediante questo dono - attua il senso stesso del suo essere ed esistere”. Il Catechismo della Chiesa Cattolica commenta: “Siamo chiamati a formare una sola cosa con lui; egli ci fa comunicare come membra del suo Corpo a ciò che ha vissuto nella sua carne per noi e come nostro modello” (CCC 521). Poiché il Figlio dell'uomo è entrato nella storia degli uomini attraverso la famiglia, ne segue che l'incarnazione del Verbo non comporta il rapporto “soltanto con una famiglia, quella di Nazaret, ma in qualche modo con ogni famiglia”.

Lettore: Lo scorrere del tempo può farci cadere nella routine, nella noia, nell'abitudine, nello scontato. Cerchiamo di creare momenti o situazioni che alimentino i nostri rapporti; gesti, parole, atteggiamenti coi quali affermiamo la differenza di genere come ricchezza. Dobbiamo recuperare quanto di positivo abbiamo vissuto nella famiglia d'origine e trasmetterlo alla nostra famiglia. I nostri figli siano oggetto dei nostri sforzi tesi a farli sentire innanzitutto “figli di Dio”, prima che figli nostri. A loro noi dobbiamo consegnare la fiaccola della fede che noi viviamo, coinvolgendoli nelle nostre scelte e camminando con loro nella stessa comunità. Dobbiamo essere di sprone e di esempio pregando insieme, leggendo e commentando la Sacra Scrittura. Le nostre domeniche viviamole in maniera speciale, viviamole insieme e, attraverso racconti, album fotografici e ricordi, i genitori raccontino ai figli l'emozione e la gioia per la loro nascita, sottolineando il passaggio vissuto  dall'essere figli all'essere diventati padre/madre, le varie tappe vissute insieme alle scelte fatte come pure agli sbagli commessi. Questo aiuterà a manifestarci e a far scoprire qualcosa di “nascosto” ma non “scontato”, così come il volto di Gesù si è manifestato a Nazaret nella concretezza della vita, nascosta ma non scontata. Dobbiamo essere, ciascuno nel suo ruolo, “madre” della nostra famiglia: occupati nel fare ogni giorno il volere di Dio nella docilità della fede, e poi estendere questa maternità al quartiere, all’ambiente di lavoro, ovunque la Provvidenza ci porta a vivere la ferialità della nostra vita.

Insieme: O Dio, che nella sacra famiglia ci lasciasti un modello perfetto di vita familiare vissuta nella fede e nell'obbedienza alla tua volontà, aiutaci ad essere esempi di fede e di amore ai tuoi comandamenti. Soccorrici nella nostra missione di trasmettere la fede ai nostri figli. Apri i loro cuori affinché cresca in essi il seme della fede che hanno ricevuto nel battesimo, fortifica la fede dei nostri giovani, affinché crescano nella conoscenza di Gesù. Aumenta l'amore e la fedeltà in tutti i matrimoni, specialmente quelli che attraversano momenti di sofferenza e di difficoltà. Uniti a Giuseppe e a Maria, te lo chiediamo per Gesù Cristo tuo Figlio, nostro Signore. Amen. (Benedetto XVI)