Forse è utile sapere...
Non tutti sanno che...
Lettera di Dio agli sposi
28.10.2014 09:05Famiglia diventa ciò che sei
28.10.2014 08:46La famiglia di fronte alla crisi
21.11.2013 18:53La famiglia, sogno e risorsa
14.11.2013 00:00La Parola di Dio in famiglia
14.11.2013 00:00Crisi del matrimonio è crisi della famiglia?
13.11.2013 00:00La ricerca sbagliata della felicità
13.11.2013 00:00La Scheda degli sposati, ma solo per prova
13.11.2013 00:00Giovanni Paolo II alle famiglie, 20-10-2001
"Credere nella famiglia è costruire il futuro". E' un tema impegnativo che ci invita a riflettere sulla verità della famiglia e nello stesso tempo sul suo ruolo per il futuro dell'umanità. Possono guidarci in questa riflessione alcune domande: "perché credere nella famiglia"? E ancora: "in quale famiglia credere"? E infine: "chi deve credere nella famiglia"?
Per rispondere alla prima domanda dobbiamo partire da una verità originaria e fondamentale: Dio crede fermamente nella famiglia. Fin dall'inizio, dal «principio», creando l'essere umano a sua immagine e somiglianza, maschio e femmina, ha voluto collocare al centro del suo progetto la realtà dell'amore tra l'uomo e la donna (cfr Gn 1,27). Tutta la storia della salvezza è un appassionato dialogo tra il Dio fedele, che i profeti spesso descrivono come il fidanzato e lo sposo, e la comunità eletta, la sposa, spesso tentata dall'infedeltà, ma sempre attesa, cercata e riamata dal suo Signore (cfr Is 62,4-5; Os 1-3). Tanto grande e forte è la fiducia che il Padre nutre verso la famiglia che, anche pensando ad essa, ha inviato suo Figlio, lo Sposo, venuto a redimere la sua sposa, la Chiesa, e in essa ogni uomo e ogni famiglia (cfr Lettera alle famiglie, 18).
Sì, care famiglie, "lo Sposo è con voi!". Da questa presenza, accolta e corrisposta, scaturisce quella particolare e straordinaria forza sacramentale che trasforma la vostra intima unione di vita in segno efficace dell'amore tra Cristo e la Chiesa e vi pone come soggetti responsabili e protagonisti della vita ecclesiale e sociale.
3. Il fatto che Dio abbia posto la famiglia come fondamento della convivenza umana e come paradigma della vita ecclesiale, esige da parte di tutti una risposta decisa e convinta. Nella Familiaris consortio, di cui ricorre il ventennale, ebbi a dire: "Famiglia, diventa ciò che sei" (cfr n. 17). Oggi aggiungo: "Famiglia, credi in ciò che sei"; credi nella tua vocazione ad essere segno luminoso dell'amore di Dio.
Questo incontro ci permette di ringraziare Dio per i doni elargiti alla sua Chiesa e alle famiglie che in questi anni hanno fatto tesoro degli insegnamenti conciliari e di quelli contenuti nella Familiaris consortio. Dobbiamo essere grati, inoltre, alla Chiesa che è in Italia e ai suoi Pastori per aver contribuito in modo determinante alla riflessione sul matrimonio e sulla famiglia con importanti documenti come Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, che fin dal 1975 ha permesso di operare una vera svolta nella pastorale familiare, e soprattutto il Direttorio di pastorale familiare, pubblicato nel luglio 1993.
4. Il secondo interrogativo ci porta a riflettere su un aspetto di grande attualità, perché oggi attorno all'idea di famiglia si registrano opinioni così diverse da indurre a pensare che non esista più alcun criterio che la qualifichi e la definisca. Accanto alla dimensione religiosa della famiglia, c'è anche una sua dimensione sociale. Il valore e il ruolo della famiglia sono altrettanto evidenti da quest'altro punto di vista. Oggi, purtroppo, assistiamo al diffondersi di visioni distorte e quanto mai pericolose, alimentate da ideologie relativistiche, pervasivamente diffuse dai media. In realtà, per il bene dello Stato e della società è di fondamentale importanza tutelare la famiglia fondata sul matrimonio, inteso come atto che sancisce il reciproco impegno pubblicamente espresso e regolato, l'assunzione piena di responsabilità verso l'altro e i figli, la titolarità di diritti e doveri come nucleo sociale primario su cui si fonda la vita della Nazione.
Se viene meno la convinzione che in nessun modo si può equiparare la famiglia fondata sul matrimonio ad altre forme di aggregazione affettiva, è minacciata la stessa struttura sociale e il suo fondamento giuridico. Lo sviluppo armonico e il progresso di un popolo dipendono in larga misura dalla sua capacità di investire sulla famiglia, garantendo a livello legislativo, sociale e culturale la piena ed effettiva realizzazione delle sue funzioni e dei suoi compiti.
Care famiglie, in un sistema democratico diventa fondamentale dare voce alle ragioni che motivano la difesa della famiglia fondata sul matrimonio. Essa è la principale fonte di speranza per il futuro dell'umanità, come è ben espresso nella seconda parte del tema scelto per questo incontro. La nostra speranza è quindi che singoli, comunità e soggetti sociali credano sempre più nella famiglia fondata sul matrimonio, luogo di amore e di autentica solidarietà.
5. In realtà, per guardare con fiducia al futuro è necessario che tutti credano nella famiglia, assumendosi le responsabilità corrispondenti al proprio ruolo. Rispondiamo così alla terza domanda da cui siamo partiti: "chi deve credere nella famiglia"? Vorrei in primo luogo sottolineare che i primi garanti del bene della famiglia sono i coniugi stessi, sia vivendo con responsabilità, ogni giorno, impegni, gioie e fatiche, sia dando voce, con forme associate e iniziative culturali, ad istanze sociali e legislative atte a sostenere la vita familiare. E' conosciuto e apprezzato il lavoro svolto in questi anni dal Forum delle associazioni familiari, a cui esprimo il mio apprezzamento per quanto fatto e anche per l'iniziativa denominata Family for family, con cui si intende rafforzare i rapporti di solidarietà tra le famiglie italiane e quelle dei Paesi dell'Est europeo (Dal discorso di Giovanni Paolo II alle famiglie, 20-10-2001)

Solo i valori etici salveranno il nostro futuro
Risposte urgenti da dare alla famiglia e alla vita
Parole amare, parole dure, ma purtroppo si tratta di parole vere. Dai giudizi sull'economia passiamo ad un altro campo, quello della laicità. La presenza del Crocifisso nei luoghi pubblici continua a turbare alcune coscienze, ma queste non sanno che il crocifi sso risale già alla stagione risorgimentale, non come fatto confessionale, ma come elemento fondato sulla tradizione religiosa e sui sentimenti del popolo italiano. Tutto questo non è frutto di un malinteso senso della laicità? Ritorniamo sul caso Englaro. Bruciano ancora domande che attendono risposte: autodeterminazione del paziente? rifiuto dell'accanimento terapeutico? o uccisione di una disabile che non ha chiesto di morire? affare privato o vicenda pubblica? e il padre: ha rispettato la volontà della figlia o l'ha fatta morire per convinzioni personali? ma più di tutto: i giudici hanno correttamente applicato le leggi e la Costituzione italiana o hanno pronunciato una ingiusta condanna a morte? Occorre riflettere su ciò che è accaduto e non voltare le spalle ad un dramma che ha scosso le coscienze. Altri i temi che scottano: le staminali embrionali. Le cellule staminali hanno rivoluzionato la biologia moderna spiegando i meccanismi dei processi biologici fondamentali. Ci si domanda: quali problemi etici il loro uso comporta? Quali possibilità terapeutiche offrono? Ed ancora: la contraccezione. Non vi sono dubbi, si tratta di pillole che uccidono. Quali sono i meccanismi di azione di alcuni tra i principali contraccettivi: la pillola a base di estrogeni e di progestinici; la “pillola del giorno dopo” (il Norlevo), la RU486; quali gli effetti sulla salute della donna? Sono contraccettivi o prodotti abortivi? Perchè proporre in Italia la sperimentazione di prodotti i cui effetti sono noti da anni negli Stati Uniti, in Francia e in Canada? E poi: l'embrione umano: è una “cosa” o un essere umano? E' questo l'interrogativo cruciale che continua a riemergere dal dibattito sull'aborto, sulla fecondazione extracorporea e sulle cellule staminali embrionali. Diverse le prospettive di analisi: quella biologica, quella fi losofi ca e, infi ne, quella giuridica. La Chiesa ha risposto che l'embrione è già una persona umana: lo ha fatto con un documento importante: “Dignitas personae”della Congregazione per la dottrina della fede in data 12 dicembre 2008. Questi ed altri i problemi rimasti sul tappeto. Da anni si discute, ma le soluzioni vengono rinviate giorno dopo giorno, perchè non si ha il coraggio della chiarezza e del rispetto della verità che scaturisce dalla ragione.Gianfranco Grieco, Capo ufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia
Tutti i numeri della famiglia italiana
La famiglia siciliana
ha generato nel corso della sua storia forti forze centripete, tali da attrarre i suoi membri all’interno di quello che il sociologo Banfield ha chiamato “familismo amorale”, ovvero l’ipotesi secondo la quale gli individui sembrerebbero agire come se seguissero una regola: "massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo". Familismo, dunque, perché l'individuo perseguirebbe solo l'interesse della propria famiglia nucleare, e mai quello della comunità che richiede cooperazione tra non consanguinei. Amorale perché seguendo la regola si applicano le categorie di bene e di male solo tra familiari, e non verso gli altri individui della comunità.
L'amoralità non sarebbe quindi relativa ai comportamenti interni alla famiglia, ma all'assenza di spirito comunitario, all'assenza di relazioni sociali morali tra famiglia e individui esterni alla famiglia stessa: il Noi- familiare, si sostituisce quindi al Noi-sociale, gettando le basi di una vera e propria comunità familistica, sintetizzata perfettamente dal proverbio “La famigghia si ricanusci a la chiuruta di la porta”.
Descritta in questi termini la Famiglia fa quasi un po’ paura! Ma tralasciando le crude analisi socio-antropologiche, la Famiglia siciliana ha anche tante virtù. Quasi sino a divenire un cliché, il concetto di famiglia in Sicilia si associa ad un sentimento di profondo legame tra i suoi membri, che è in grado di andare oltre le spinte egoistiche ed individualistiche, verso cui la nostra società sempre più ci spinge. Essa s’impone nello scenario europeo, per non dire mondiale, come custode di tradizioni e di relazioni, garante di un senso di connessione con la propria storia familiare, tanto forte da allontanare il fantasma della solitudine, facendoti sentire parte di un qualcosa che ti trascende e che allo stesso tempo ti attraversa e ti definisce.
Riprendendo i dati di cui sopra sull’aumento delle separazioni e divorzi, è lecito chiedersi, dunque, che cosa stia accadendo alle Famiglie siciliane.
Posto che la Famiglia in senso astratto non abbia perso quel senso di “custode di storie generazionali”, ciò che sta cambiando è, probabilmente, il fatto che viene meno la dimensione del “Noi”, a fronte di un “Io” sempre più ingombrante. La coppia finisce di essere tale nel senso di diade interconessa, e diviene piuttosto “con-vivenza” di due persone, aldilà del fatto che siano sposate o meno. Con- vivenza come idea di due individui che co-vivono, ovvero vivono insieme senza alcun passaggio dell’uno all’altro, mantenendo così ognuno un proprio nucleo di quello che potremmo chiamare, estremizzandolo, “invidualismo amorale”. Individualismo poiché l’individuo perseguirebbe in ogni caso il proprio interesse, a fronte della disposizione al compromesso con l’altro; Amorale perché si applicano le categorie di bene e di male solo a se stesso ed al proprio livello di soddisfazione e appagamento.
In una società dove l’imperativo categorico, volenti o nolenti, è il “contratto a breve termine”, impegnare tutta la nostra vita su un unico sceneggiato predefinito, sembra negare la possibilità di altre vite, di altre storie ed opportunità d’essere più attuali e chissà, magari più promettenti.
È vero che “l’amore- come ricorda Z. Bauman- è un prestito ipotecario fatto su un futuro incerto e imperscrutabile”, però sembrerebbe che siamo tutti più sensibili agli innamoramenti che non all’amore, poiché il primo è fugace, intenso, appagante e non vincolante; il secondo chiede tempo, impegno, ed anche sacrificio.
Il vero problema è che la gente si sacrifica così tanto nell’ambito socio-lavorativo, che non vuole più accettare il concetto di sacrificio nella sfera privata, confondendo il sacrificio con un concetto globale di privazione e rimpianto. L’impegno “finché morte non ci separi”, nella morte e nella malattia, ha più le sembianze di una trappola da evitare, poiché rende, se lo si guarda con questi occhi, inevitabilmente dipendente dal partner, condizione della quale non si ha mai la sicurezza che ne valga davvero la pena. E questa insicurezza, non solo nelle giovani coppie, ma anche quando inizia il “tempo dei bilanci”, può rendere difficile il processo di comprensione del significato psicologico della propria esistenza, portando a confondere il senso di appagamento di quanto costruito con la rassegnazione, e le modificazioni fisiologiche e biologiche come dimostrazione che ormai il tempo fugge e “bisogna giocarsi le ultime carte, chi si è visto, si è visto!”
Così, volendo ironizzare sul dolore che la fine di una rapporto comporta, possiamo immaginarci dei Super Uomini o Super Donne, più o meno cresciutelli/e, che, come adolescenti alla ricerca di se stessi, trovano il modo di rimettersi in gioco: “ mi separo e mi do alla bella vita!”. Alcuni uomini diventano dei guru del jogging, sfidando qualsiasi condizione metereologica e qualsiasi tutino aderente in gore-tex, altri si sfogano nel ciclismo sfrenato e off-limits, altri ancora, più classici e sofisticati, si danno al fascino del pilota di moto o auto da pista, ed infine, i più ostinati optano per le fughe d’amore, in puro stile “ Scusa ma ti chiamo amore” di Moccia. Alcune donne si sistemano “un po’ di qui, un po’ di lì”, e si calano nei panni di femme fatale, cercando di recuperare il tempo perduto.
Ruoli diversi, ma tutti alla fine in corsa dietro qualcosa o qualcuno che come un baluardo simboleggia la magia illusiva della “vita altra”, prima che i riflettori illuminino il set, ponendo fine allo show. Rapporti fragili quindi, ispirati troppo spesso al culto della gratificazione istantanea ed alla perdita della capacità di attendere che le cose- nella fattispecie i rapporti coniugali- migliorino.
La forza della cultura familiare siciliana, allora, può e deve essere recuperata e mantenuta viva, poiché – familismo amorale a parte- è un valore aggiunto rispetto a tanti altri paesi, in cui questa dimensione si va sempre più parcellizzando in micro-unità familiari. Profeticamente il personaggio di Don Vito Corleone diceva nel famigerato film Il Padrino “Perché un uomo che sta troppo poco con la famiglia, non sarà mai un vero uomo.” (da livesicilia.it)